Quaderni di birdwatching Anno IV - vol. 7 - aprile 2002

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Titolo
di Roberto Garavaglia

        GLI UCCELLI VOLANO, lo sappiamo, ma non tutti e non sempre nello stesso modo. Infatti, ci sono almeno quattro tecniche o meglio, metodi diversi di volo.

        Il volo battuto (in inglese flapping flight), che implica il ben noto movimento alto-basso delle ali, nel quale diverse parti dell’ala hanno diversa funzione:

  • la parte prossimale (cioè la più vicina al corpo, costituita dalle remiganti secondarie) si muove poco e fornisce quasi tutta la portanza, in pratica la spinta verso l’alto;
  • la parte distale (le primarie) compie un ampio arco e fornisce la maggior parte della forza che spinge in avanti il corpo dell’uccello.

        Il volo planato (gliding) avviene senza battito delle ali: l’uccello sfrutta la forza del suo peso per affondare nell’aria scivolando nel frattempo verso la direzione del suo movimento. Di solito viene impiegato da quegli uccelli (avvoltoi, rapaci, pellicani, cicogne) che hanno grande massa corporea e che, per guadagnare quota sfruttano il volteggio (soaring). Questo consiste nel trarre vantaggio dalle correnti d’aria ascensionali, che si generano con diversi meccanismi, per farsi portare in alto, senza dovere impiegare la forza muscolare.

        L’ultimo dei quattro metodi viene impiegato di rado e da poche specie: il volo librato (hovering e hanging).


Falco cuculo in hovering - foto di M. Sighele
Gheppio in hanging - di E. Vigo

        Durante l’hovering l’uccello riesce a mantenersi fermo, librato nell’aria, menando vorticosamente le ali per restare "sur place". Lo vediamo ad esempio nel Gheppio, quando caccia sopra un terreno aperto, meno di frequente negli altri rapaci (tra quelli di grandi dimensioni, può fare hovering il Biancone), nelle sterne, nel Martin pescatore. In tutti questi casi, si tratta di predatori intenti alla caccia: è possibile che, rimanendo immobili rispetto al terreno, riescano a determinare la posizione, la distanza e i movimenti delle loro prede meglio che non sorvolandole in velocità.

        In un italiano un po’ gergale, si dice che questi uccelli fanno lo spirito santo e l’origine di questo modo di dire potrebbe essere un buon argomento per la nostra rubrica Archeornitologia.

        A dire la verità, bisognerebbe distinguere tra hovering vero e proprio e wind hovering detto anche, hanging. In questo secondo caso, quando si è in presenza di vento non troppo forte, falconi e poiane possono mettersi controvento, compensandone esattamente la velocità, ad ali ferme o quasi e rimanere così a "galleggiare" nella corrente d’aria, al massimo con qualche colpetto d’ala di correzione. Questa tecnica è certamente poco faticosa e quindi preferita, perché permette di non muovere le ali; richiede solo abilità di manovra per mantenere la posizione.


Gheppio in hanging, Sardegna, luglio 2001 - di L. Ruggieri

        Invece, quando un uccello fa l’hovering, in assenza del vento, il suo corpo resta fermo rispetto all’aria e non può contare sull’energia cinetica dell’aria che scorre sulle ali per avere spinta di galleggiamento. Tutta la portanza deve essere generata con la forza muscolare. Questo tipo di volo librato è perciò estremamente dispendioso in termini energetici: richiede circa il doppio della potenza necessaria per il volo battuto. Durante il volo librato, gli uccelli sono molto vicini al loro limite fisico: i muscoli delle ali lavorano con metabolismo anaerobico, una condizione che non possono sostenere a lungo. Ad esempio, l’uccello più grosso che riesce a fare hovering con una certa frequenza è il Martin pescatore bianco e nero Ceryle rudis, del peso di circa 100 grammi; uccelli più pesanti possono fare altrettanto, ma solo eccezionalmente e per brevi periodi.

        C’è poi la complicazione tecnica che, per restare fermi sul posto, oltre a generare la portanza, bisogna annullare la spinta in avanti data dalle ali. Per cui, nel volo librato, il corpo dell’uccello assume una posizione molto inclinata, la coda viene aperta a ventaglio per fare da freno aerodinamico e le ali compiono un movimento diverso dall’usuale.

        Ci sono abbastanza motivi per capire come mai il volo librato non sia molto diffuso e, in effetti, per molte specie esso è al di là delle capacità fisiche. Ma la natura riesce ad aggirare ogni ostacolo, basta darle tempo.


Martin pescatore bianco e nero in hovering, Luxor, aprile 1992 - di L. Avesani

        Per i colibrì, l’hovering è il modo normale di volare. Svelare come riescano i colibrì a praticare il volo librato per tempo indefinito, è stato un quesito che ha tenuto parecchio occupati i ricercatori. I colibrì hanno una speciale articolazione della spalla, che permette loro di rovesciare l’ala, in modo che il suo movimento generi portanza sia durante il colpo in basso sia durante il richiamo verso l’alto. In questo modo hanno a disposizione più forza di galleggiamento per ogni singolo colpo d’ala. In effetti, la biomeccanica e l’aerodinamica di questo gesto muscolare sono molto complesse: in ogni singola fase del movimento, il colibrì riesce anche a trarre vantaggio dalla velocità dell’aria accelerata dal battito d’ala precedente.

        Per ottenere tutto ciò, i muscoli implicati nel volo raggiungono una massa che è pari al 30% del peso di tutto il corpo e possono muovere le ali con una frequenza da 20 ad 80 battiti al secondo. Di conseguenza, tutto l’organismo dei colibrì si è specializzato in maniera estrema: hanno un metabolismo elevatissimo, necessitano di cibo ad alto contenuto energetico, come il nettare dei fiori, e sono obbligati a rimanere minuscoli. Infatti, c’è un limite al peso del corpo di un uccello così perfezionato, superato il quale, i muscoli del volo dovrebbero essere tanto grossi che non rimarrebbe più posto per gli altri organi.

        O, forse, sarebbe meglio dire che la natura non ha (ancora) trovato un trucco per superare anche questo limite.


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