Quaderni di birdwatching Anno IV - vol. 8 - ottobre 2002

Reale e virtuale
Titolo
testo e foto di Luciano Vinco

Ingredienti: un nido di Picchio rosso maggiore, un capanno, un kg di pazienza, fortuna a volontà e una buona macchina fotografica digitale.

        NON È PARTICOLARMENTE DIFFICILE trovare un nido di un Picchio rosso maggiore (Dendrocopus major); la specie è molto diffusa su tutto il territorio nazionale, ma ci sono nidi e nidi. Un nido ben ambientato e con buone condizioni di ripresa non si trova tutti i giorni, e quando c’è bisogna sfruttare l’occasione. In questo caso il buco è stato costruito sul tronco di un vecchio acero, marcescente e cosparso di funghi e licheni, abbastanza distanziato da altri alberi da non avere rami che ostruiscono e per ricevere una discreta luce. A completare il tutto e rendere l’occasione particolarmente ghiotta sono stati gli occupanti; forse il mio comportamento era indovinato e tranquillizzante, forse si son resi conto che sarebbero "diventati famosi", fatto stà che la loro "collaborazione" è stata utile e preziosa. La coppia di picchi si allontanava dal nido esclusivamente quella manciata di minuti che impiegavo a montare il capanno; quando sparivo alla loro vista uno dei due era già presente ad accudire i pulcini, incredibile.

        Un nido di picchio non offre grandi possibilità: si può fotografare l’andirivieni degli adulti di fronte al buco, con tutte le varianti del caso, ma non tanto di più, i pulcini stanno prevalentemente all’interno e non sono visibili, tranne qualche giorno prima dell’involo. In questa situazione non ho voluto forzare gli eventi: mi sono accontentato di qualche immagine che mostri un adulto e la bellezza del tronco e come variante ho ripreso il particolare del picchio di fronte al nido. La fotocamera usata è una Sony DSC-F707; ha un sensore da 5.000.000 di pixel, un’eccellente qualità, ma non offre la possibilità di intercambiare le ottiche. Per ottenere delle inquadrature decenti (la mia distanza dal nido era di ca. 7 m), per l’immagine a campo più ampio ho dovuto regolare lo zoom alla massima estensione (190 mm), mentre per l’inquadratura del particolare son dovuto ricorrere allo zoom digitale (massima estensione), e per "fermare" gli eventuali movimenti veloci del picchio, la taratura della sensibilità era impostata su 200 ASA.

Picchio rosso maggiore fotografato nelle condizioni descritte nel testo - Sony DSC-F707, Ob. Carl Zeiss (38/190) impostato alla massima estensione, ASA 100

Picchio rosso maggiore. Uno dei rari momenti che un giovane si rende visibile - Sony DSC-F707, Ob. Carl Zeiss (38/190) impostato alla massima estensione, ASA 100

        Lo zoom digitale, per quei lettori poco avvezzi a questi termini, prende una parte dell’immagine ed elaborandola, la ingrandisce a tutto formato. Queste, ed altre immagini, mi hanno convinto che Il tele digitale si comporta grosso modo come un duplicatore (per quanto buono l’obiettivo e il duplicatore): da molto vicino lavorano bene, o comunque abbastanza bene, mentre proporzionalmente all'aumento della distanza aumenta anche la perdita di dettaglio.


Picchio rosso maggiore adulto - Sony DSC-F707, Ob. Carl Zeiss (38/190) impostato alla massima estensione, ASA 200


Picchio rosso maggiore. Un adulto imbecca il giovane ormai prossimo alla totale indipendenza - Sony DSC-F707, Ob. Carl Zeiss (38/190) impostato alla massima estensione, ASA 100 - Fotocamera piazzata a 2m ca. - comando a distanza (via radio). Le ridotte dimensioni dell’apparecchio ne hanno facilitato l'impiego e il mascheramento, mentre la silenziosità dello stesso ha consentito riprese del tutto naturali

        Fin qui tutto bene, le fotografie sono abbastanza "normali", tali da poterle riprendere con qualsiasi macchina fotografica; perchè allora una digitale e non una fotocamera tradizionale con un buon tele?

        La zona era sì illuminata, ma le immagini non rivelano che, trovandosi il tronco "sprofondato" in una valle, la luce del sole era presente esclusivamente nelle ore centrali del giorno; a complicare la situazione c’era poi anche il periodo metereologico abbastanza avverso e instabile. Per cui il nido era in ombra la maggior parte del tempo, oppure la zona era sovrastata da grosse nubi: fotografando con supporto in pellicola i colori erano a rischio e sarebbero risultati "sporchi"; il digitale, per mezzo della taratura del bianco, si adegua maggiormente a condizioni di luce distanti dall’ottimale.

        Ai fotografi "conservatori", che in ogni caso avrebbero impiegato una reflex ed il supporto in pellicola, si potrebbe obiettare che se un’immagine in pellicola per essere pubblicata viene scansionata male, anche se in origine perfetta e di qualità sublime, il risultato finale potrebbe essere pari o addirittura inferiore all’equivalente in digitale.

        Tornando al picchio, in merito alle immagini successive, il penultimo ingrediente della "ricetta" iniziale (la fortuna), serve in quantità industriale per trovare quello che ho trovato: un tronco che abitualmente serviva al picchio come punto d’incontro per imbeccare il giovane, perfettamente sviluppato, ma ancora dipendente dal genitore per il cibo. Se nelle immagini precedenti il tipo di attrezzatura è opinabile, in questo caso il digitale sfodera uno dei suoi assi dalla manica

        Il punto dove sovente il giovane stazionava per essere imbeccato dal genitore, non era particolarmente agevole; ad una certa altezza dal suolo ed il tronco era su terreno in pendio. Per poter ritrarre l’imbeccata avrei dovuto appostarmi, con una certa difficoltà ed a una maggior distanza rispetto alle fotografie praticate sul nido, in quanto per i soggetti un tronco vale l’altro; non c’è più un punto fisso (il nido), a rendere prevedibile il comportamento dell’adulto, ora il giovane può spostarsi a piacimento ed una mia vicinanza eccessiva avrebbe potuto disturbare i pennuti, con il conseguente allontanamento e l’inutilità del mio trafficare.

        La soluzione migliore, in questo caso, era una macchina comandata a distanza. Tutte le macchine fotografiche si possono comandare a distanza, ma ad una digitale si inserisce un semplice cavetto nell’apposita spina e... come per miracolo la scena si compone in un monitorino, posizionato assieme al fotografo, alla giusta distanza. Certo, la cosa è ripetibile con qualsiasi macchina, ma con una telecamera aggiuntiva e, ovviamente in questo caso, non ottenendo la stessa visione della macchina fotografica. Per ottenere questa condizione servirebbe un’attrezzatura piuttosto complessa e immancabilmente costosa.

        L’immagine stampata è stata ottenuta con lo stesso modello di macchina fotografica citata precedentemente; lo scatto a distanza invece tramite un comune comando radio (tipo aereomodellini), che si compone di un servo meccanico e di una centralina per ricevere il segnale trasmesso dall’emettitore. Il congegno offre la possibilità di posizionare preventivamente il servo (possibilità sfruttata per la messa a fuoco), e successivamente, visionando il momento giusto sul monitor, azionato per lo scatto.


La Sony DSC-F707

Questo modello si è dimostrato molto valido, con una costanza qualitativa di immagine che modelli equivalenti di altre marche possono solo invidiare. L’ottica è uno zoom 5X Carl Zeiss (38/190mm, rapportato al formato 35 mm); 26,6 mm con aggiuntivo grandangolare. L’autofocus è molto affidabile e tra gli accessori di maggior interesse spicca il cavalletto, o meglio quello che sta attaccato ad esso: un comando remoto (via cavo), che controlla accensione e spegnimento della fotocamera, regola lo zoom e ovviamente comanda lo scatto. Nel momento di scrivere queste righe mi giunge la notizia dell'imminente uscita del nuovo modello, la Sony 717, alla quale sono state apportati importanti aggiornamenti: il tempo di scatto è stato portato a 2mo; è stato aggiunto il contatto a caldo sulla slitta flash; lo zoom è azionabile anche manualmente e altro ancora...


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