Quaderni di birdwatching Anno IV - vol. 8 - ottobre 2002

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Titolo
di Roberto Garavaglia

        GLIDING E SOARING, ovvero: come volare senza muovere un muscolo.

        Il volo battuto è un’attività dispendiosa: per tenere sollevato in aria il proprio peso è necessario contrastare e vincere la forza di gravità, opponendole la sola forza muscolare. E’ logico, quasi inevitabile, che gli uccelli di grande mole e quelli che devono trascorrere in volo molto del loro tempo (come ad esempio i rapaci, che dipendono da fonti di cibo imprevedibili e molto disperse) siano stati costretti a trovare modi per risparmiare le loro energie.

        Il gliding, o volo planato è il primo tra questi.

        In una planata, l’uccello, tenendo le ali spiegate, "cade" lentamente attraverso l’aria e, nel contempo, scivola in avanti nella direzione voluta. In effetti, il gliding è forse la prima e più primitiva forma di volo messa in atto dagli animali, non solo gli uccelli, da quando, lanciandosi dall’alto di un albero, hanno imparato a frenare la loro caduta sfruttando ali, membrane, patagi o che altro.

        Tecnicamente, si può cominciare a parlare di gliding, cioè di volo planato (qualcosa di più di una semplice caduta frenata, per la quale il termine inglese è parachuting), quando la distanza coperta nella direzione di volo è maggiore dell’altezza da cui si sono lanciati. Questo corrisponde ad un rapporto di planata (gliding ratio) di 1 a 1, cioè si perde un metro di quota per ogni metro di avanzamento.


Gabbiano corso in gliding - filmato di L. Ruggieri

        Una simile prestazione non è davvero granché. I migliori veleggiatori del mondo animale sono gli albatross, che riescono ad avanzare anche di 15-20 metri per ogni metro di caduta e rivaleggiano con i più efficienti alianti progettati dagli ingegneri. Per ottenere simili risultati è necessario possedere ali di grande dimensione (per avere più "portanza" cioè spinta verso l’alto e diminuire il "carico alare" cioè il peso sopportato per unità di superficie dell’ala) ma anche ali che siano lunghe ed appuntite. Il perché di quest’ultimo requisito non è immediatamente ovvio: risiede nel fatto che l’estremità dell’ala causa una turbolenza aerodinamica, che induce resistenza e quindi frena l’avanzamento e fa affondare più rapidamente. Più è larga l’estremità dell’ala, maggiore è questa resistenza. Un’ala stretta e appuntita genera la minima turbolenza e la minore resistenza. Gli uccelli marini trascorrono gran parte della loro vita in volo planato: albatross, sule, fregate, berte e procellarie possiedono tutti grandi ali molto lunghe, strette e appuntite.

        Ma non basta sapere sfruttare in maniera magistrale la caduta allo scopo di avanzare, per quanto efficacemente lo si faccia, se non si ha anche un modo, altrettanto efficiente, per prima guadagnare la quota da cui lanciarsi. Un albatross si lancia in avanti col vento in coda e avanza guadagnando velocità per la caduta e per la spinta del vento; poi, quando ha raggiunto la velocità massima e la quota minima, si gira becco al vento e si impenna: risale in alto controvento, trasformando la velocità (energia cinetica) in elevazione (energia potenziale). E poi, giù ancora, nel vento. Nel fare tutto questo, riesce a guadagnare energia dai gradienti di velocità del vento, cioè dal fatto che il vento, vicino alla superficie dell’acqua, viene rallentato per attrito e quindi soffia con una velocità molto minore che non 20 o 30 metri più in alto. Questa energia extra, letteralmente estratta dall’aria, compensa quella persa per attriti e turbolenze e gli permette di continuare a veleggiare all’infinito, in un moto perpetuo che non richiede alcun lavoro muscolare.

        Il soaring consiste nel mantenere o addirittura aumentare la propria altitudine senza dover battere le ali e il modo di volare appena descritto, tipico degli uccelli marini, viene chiamato dynamic soaring.


Gabbiani reali in soaring - filmato di L. Ruggieri

        Gli uccelli che vivono sopra la terraferma non hanno a disposizione venti forti e costanti da sfruttare nel modo che abbiamo visto. Sulla terra, anche se meno prevedibili, si sviluppano però forti correnti ascensionali, cioè flussi d’aria che si alzano verticalmente. Questo si verifica ogni volta che il vento incontra un rilievo, ad esempio il fianco di una collina che lo devia verso l’alto, o presso il ciglio di una scogliera, oppure, nel caso che ci si presenta più di frequente, con le "correnti termiche", che sono il meccanismo più sfruttato dagli uccelli terrestri per guadagnare quota senza spendere energia. Una "termica" è una colonna d’aria, riscaldata dal sole e perciò meno densa di quella fredda circostante, che per galleggiamento prende a risalire, un vero e proprio vento verticale, diretto verso l’alto, che può raggiungere velocità di qualche metro al secondo.

        Un uccello che volteggia all’interno di una corrente ascensionale, in effetti, sta affondando attraverso l’aria con una velocità di discesa che è inferiore alla velocità con cui l’aria sta risalendo. Il risultato combinato di questi due vettori è che l’uccello viene trasportato verso l’alto e così guadagna quota. Questa è l’essenza del soaring, o meglio, dello static soaring utilizzato dagli uccelli terrestri.

        Quando è stata raggiunta un’altezza adeguata, inizia la fase di gliding, cioè la planata che porta l’uccello nella direzione voluta, anche per diversi chilometri, perdendo gradualmente la quota. La maestria o, se preferite, l’infallibile istinto dei grandi veleggiatori consiste nel trovare continuamente nuove correnti ascensionali che, alla fine di ogni fase di gliding, li riportino in alto, senza richiedere lavoro muscolare. In questo modo, possono restare in aria per ore e coprire anche centinaia di chilometri, senza un solo colpo d’ala.

        Non vi sarà però sfuggita una contraddizione: se abbiamo detto che le ali più efficienti nel gliding hanno forma lunga e appuntita, com’è che gli uccelli che meglio sfruttano il soaring (le cicogne, i pellicani e i rapaci, primi tra tutti gli avvoltoi) hanno invece ali larghe e squadrate, in alcuni casi addirittura tozze? Il loro successo e le loro straordinarie migrazioni non lasciano certo pensare che si possa trattare di un disegno meno che ottimizzato.

        Il problema è che le ali da albatross non consentono grande manovrabilità: sono ideali per un uccello marino, che si sposta sopra le sconfinate distese oceaniche, prive di ostacoli e dove spira sempre vento. Invece, un uccello terrestre, che sia esso un predatore o una preda, deve poter spiccare il volo da fermo, ha bisogno di portanza a velocità bassa, di manovrare con agilità anche quando l’aria è immobile e di compiere virate strette, non fosse altro che per potersi mantenere all’interno di una termica. La forma alare che decreta il successo degli albatross sarebbe un handicap per un aquila; la manovrabilità impone ali larghe e squadrate.

        Ma allora, come viene affrontato lo svantaggio costituito dalla turbolenza aerodinamica e dalla resistenza che viene generata da questo tipo di ali? Guardando un rapace in volo, non si direbbe proprio si stia trascinando dietro una palla al piede, e sarebbe anche privo di senso dal punto di vista dell’evoluzione. La soluzione è semplice: gli uccelli veleggiatori allargano le penne all’estremità delle loro ali, le primarie, come fossero dita di una mano, in modo che ogni singolo "dito" diventa l’estremità di un’ala molto appuntita, che genera pochissima resistenza. Così facendo, un’ala squadrata, poco efficiente, si trasforma nella somma di tante ali lunghe e affusolate, ideali per il gliding. Geniale.


RISORSE WEB

  • Eastern Kentucky University, Scienze Biologiche, il volo I
  • Eastern Kentucky University, Scienze Biologiche, il volo II
  • Albatrosses at work
  • Birds of Stanford

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