Quaderni di birdwatching Anno V - vol. 9 - aprile 2003

Note dal campo
Titolo

        OASI DE PINEDO, aprile 2002. Una coppia di Falchi di Palude volteggia sul piccolo canneto di una delle lanche dell'oasi. Dopo qualche evoluzione aerea, la femmina scende tra le canne: ci siamo, molto probabilmente sta iniziando la nidificazione.

        De Pinedo, in sé, è un'isola situata lungo l'asta fluviale del Po, in provincia di Piacenza, e la denominazione di Oasi va intesa come comprensorio degli ambienti limitrofi, tutelati come riserva provinciale. Sul campo non esistono attualmente né camminamenti attrezzati né capanni di osservazione, ad esclusione di un'unica torretta di fronte all'isola. La fruizione degli ambienti avviene normalmente lungo il sentiero tracciato che conduce sulla riva del fiume e che, dividendosi, porta a monte e a valle dell'isola.

        A debita distanza mi apposto e punto il cannocchiale iniziando le osservazioni: il maschio abbandona momentaneamente la zona, mentre la femmina, poco dopo, si alza in volo dirigendosi ai bordi del canneto dove raccoglie materiale che trasporta al punto di discesa precedente, dove presumibilmente sta avvenendo la costruzione del nido.

        Dopo circa un'ora il maschio fa ritorno dalle zone di caccia stringendo una preda tra gli artigli: sorvola il canneto chiamando con stridenti pigolii la femmina, che prontamente si invola raggiungendo il compagno in quota. Insieme sorvolano il loro territorio, inseguendosi ed appaiandosi in una sorta di cerimoniale di saluto fino a quando, raggiunto un perfetto parallelismo, girandosi l'uno sull'altra, avviene la cessione della preda alla femmina che ridiscende poi tra le canne.

        Il maschio effettua ancora qualche giro sul canneto, come per controllare che tutto sia a posto o semplicemente per rivendicare la sua territorialità, per poi allontanarsi nuovamente.


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        Per un po' la calma regna sovrana, la femmina sembra gradire l'offerta del compagno gustandosela al riparo da occhi indiscreti, fino a quando s'invola nuovamente per riprendere le operazioni di trasporto di materiale al nido, occasionalmente coadiuvata dal compagno che va e viene dai territori di caccia. Anche la femmina di tanto in tanto si allontana dal canneto, ma per intervalli decisamente più brevi rispetto al maschio. Gli apporti di materiale si alternano a lunghe permanenze della femmina al nido e ai richiami del maschio, di ritorno dalle zone di caccia, che precedono lo scambio aereo delle prede. E' davvero sensazionale udire il richiamo del maschio, di ritorno con le prede, rompere il silenzio che a tratti regna sovrano nel canneto, catalizzando su di se l'attenzione, per vederli poi volteggiare insieme sul loro territorio, padroni incontrastati di quello spazio aereo che sovrasta ciò che sembra essere stato creato appositamente per loro: una palude, splendido biotopo brulicante di vita in infinite forme, che ha richiamato anche questi splendidi e acrobatici rapaci di ritorno dai loro quartieri di svernamento.

        Durante le settimane seguenti le osservazioni si ripetono, confermando la stabilità della coppia, e il proseguire delle loro attività fa ben sperare in un potenziale esito positivo della nidificazione.

        Qualcosa è cambiato però nel comportamento della coppia, ora soltanto il maschio abbandona il canneto per andare a caccia, la femmina di tanto in tanto si invola come per sgranchirsi un po' e ozia su posatoi ma sempre in vicinanza del nido: con molta probabilità è avvenuta la deposizione delle uova e lasciare il nido completamente incustodito sarebbe troppo pericoloso, le nutrie sono grosse e numericamente ben rappresentate.

        Dopo la presunta deposizione delle uova, non ho mai notato alcuna discesa al nido da parte del maschio, che in precedenza apportava materiale, scendendo nel canneto in un punto vicino ma distinto dal nido, a conferma di quanto letto a proposito delle piattaforme che i maschi allestiscono in prossimità del nido vero e proprio e che utilizzano come dormitorio, rifugio in caso di maltempo e punto di alimentazione.

        A questo punto, le mie osservazioni iniziano ad indirizzarsi ad individuare i potenziali posatoi dove sfruttare i loafing dei soggetti per effettuare qualche scatto fotografico, limitando al massimo il disturbo.

        Decido di allestire un primo capanno nei pressi del canneto, a distanza di sicurezza, per cercare di riprendere gli eccezionali scambi aerei davvero coreografici e strabilianti, ma senza ottenere i risultati sperati: la mia veduta sulla scena è limitata a ciò che vedo attraverso il teleobbiettivo e mi attivo quando sento il maschio di ritorno dalla caccia richiamare la femmina. Disperatamente cerco di agganciare uno dei due soggetti, per seguirlo fino al momento cruciale, ma lo stretto angolo di campo del 500 mm moltiplicato e la limitata libertà di movimento offerta dall'angusto capanno, non mi aiutano nell'impresa e le riprese in volo si rivelano quasi impossibili.

        Sono lì nel capanno, perfettamente nascosto e mimetizzato, eppure a tratti mi sembra di avvertire il loro sguardo: sanno che ci sono, eccome se lo sanno, mi tollerano ma sanno che sono lì.

        Spesso mi interrogo se sia il caso di desistere, anche se la distanza di rispetto e la tranquillità dei soggetti, che proseguono tranquillamente in tutte le loro mansioni, mi convincono di essere stato accettato anche se tenuto sott'occhio.

        Di fine settimana in fine settimana, le osservazioni proseguono e tutto lascia ben sperare. Ai primi di luglio però un vigoroso temporale estivo con forti raffiche di vento e grandine mi fa temere per l'incolumità dei giovani nidiacei, che ormai dovrebbero essere prossimi all'involo. Il nido è celato nel folto del canneto, completamente inaccessibile alla vista ma anche ad un controllo più accurato dell'esito della nidificazione.



        Appena posso mi precipito per un sopralluogo: il canneto e le lanche sembrano alquanto sconvolti, con diversi alberi spezzati e alcuni caduti nell'acqua. Rivedo la femmina e rincuorato decido di effettuare un altro appostamento in capanno l'indomani mattina.

        Come sempre le operazioni di perlustrazione e caccia cominciano di buon'ora: appena entrato nel capanno, verso le 6.00, intravedo la femmina sorvolare il canneto fino a quando va a posarsi su di un nuovo posatoio, originatosi dopo il temporale dei giorni scorsi e, guarda caso, a prima vista proprio vicino ad uno dei capanni che ho sfruttato in precedenza, ma tremendamente lontano da quello attuale. Superato il rammarico per essere al momento giusto nel posto sbagliato, cerco di mantenere la calma e decido di studiare la situazione: la femmina rimane sul posatoio per una mezz'ora abbondante, durante la quale si rassetta accuratamente il piumaggio, mentre l'alba inizia ad illuminare timidamente la lanca conferendovi come sempre un'ovattata e magica atmosfera. Non appena le condizioni di luce lo consentono, ne approfitto per qualche scatto che mi sarà di aiuto per studiare l'appostamento successivo. Durante la mattina vi ridiscende per altre due volte confermando ciò che speravo: l'abitualità del gesto e del posatoio.

        Il venerdì mi precipito, dopo il lavoro, al capanno vicino al nuovo posatoio: incredibile, il punto in cui la femmina scende è proprio lì di fronte. Approfitto dell'assenza dei soggetti per sistemare i teli mimetici e ricoprire al meglio l'appostamento, mi soffermo poi a studiare un po' la situazione e, con enorme soddisfazione, vedo la femmina aggirarsi ancora sul canneto ma non vedo più il maschio. Trascorsa la notte insonne, il mattino seguente entro nel capanno con il buio e inizio a sistemare l'attrezzatura: sono consapevole, data la distanza ravvicinata, di non avere molte possibilità, quindi punto direttamente il teleobbiettivo sul punto dove mi aspetto scenda la femmina e pazientemente attendo. Di tanto in tanto un Martin pescatore sfrutta il rischioso posatoio per dare inizio alle sue operazioni di pesca: la tentazione è forte; non vi resisto ed inizio a seguirlo facendo qualche scatto, contravvenendo così alle imposizioni iniziali che dovevano vedere il tutto predisposto nella massima immobilità ad attendere la discesa della femmina.


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        Ad un tratto succede qualcosa: il Martino guarda verso l'alto e sparisce precipitosamente. D'istinto, molto lentamente, riporto il tele verso la posizione iniziale e contemporaneamente un'ombra scende dall'alto: è lei !! Ci troviamo di fronte l'uno con l'altra; riempie quasi completamente il fotogramma, sembra di poterla toccare allungando la mano, il cuore mi schizza in gola e il respiro diventa improvvisamente accelerato e profondo. Quando arriviamo a guardarci negli occhi sento che non posso più aspettare e, come paralizzato dall'autoritario sguardo, quasi intimidatorio, scatto l'unico fotogramma concessomi. Immediatamente si invola, tornando sul canneto per sparire lentamente dalla mia visuale. Incredulo ed eccitato rimango immobile, in attesa dell'evolversi della situazione.

        Per un po' non succede nulla ma speranzoso continuo nell'attesa. Quando ormai ho ritrovato la calma, ridiscende all'improvviso: sono distratto e iniziando a perdere la concentrazione mi scompongo troppo bruscamente, facendola involare di nuovo. Dopo le imprecazioni di rito decido di allontanarmi per non stressarla troppo, rimandando la seduta alla settimana successiva. Da lontano mi accerto che non abbia perso l'abitudine e rincuorato lascio il campo, con questa incredibile esperienza ancora sulla pelle.

        La settimana successiva, mi apposto nuovamente come programmato e ben presto mi rendo conto che i falchi non ci sono più! E' il 20 di luglio e in base ai miei calcoli i giovani dovrebbero essersi già involati, ma la loro assenza e l'abbandono del canneto da parte della coppia rende molto concreto il timore che la forte grandinata abbia irrimediabilmente compromesso la nidificazione!

        O forse no: spero che non sia così e che i giovani si siano subito allontanati dal sito.

        Non mi resta che attendere la prossima primavera, sperando che facciano ritorno dai loro quartieri di svernamento africani, e riguardando quel ritratto 30x40 appeso alla parete mi sento un po' parte di loro.


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